13 marzo 2018 – Marchio figurativo dell’UE basato su una lettera dell’alfabeto - Sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea (Tribunale), causa T 824/16

La sentenza riguarda un ricorso avverso una decisione della Commissione di Ricorso dell’EUIPO relativa ad un procedimento di opposizione concernente una registrazione internazionale designante l’Unione europea ottenuta per un segno figurativo basato sulla lettera “k”, in cui l’opposizione era fondata su quattro marchi figurativi nazionali anteriori (registrati presso l’Ufficio del Benelux per la proprietà intellettuale) basati sempre sulla stessa lettera “k” e per servizi identici.

Riguardo alla somiglianza fonetica, il Tribunale ha ritenuto che, nella misura in cui il pubblico di riferimento è in grado di distinguere la lettera «k» nel marchio richiesto e nel marchio nazionale anteriore, i due marchi possono essere pronunciati allo stesso modo. Pertanto, si deve affermare che, contrariamente a quanto rilevato dalla commissione di ricorso al riguardo, i marchi in conflitto sono identici sotto il profilo fonetico.

Riguardo alla somiglianza concettuale di due marchi costituiti dalla stessa e unica lettera, richiamando la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’UE, il Tribunale ha affermato che la rappresentazione grafica di una lettera, nella mente del pubblico di riferimento, può ricordare un’entità ben distinta, vale a dire un fonema particolare. In tal senso, una lettera rinvia a un concetto.

Ne consegue che può esistere un’identità concettuale tra segni quando questi ultimi rinviano alla stessa lettera dell’alfabeto.

In relazione alla valutazione globale del rischio di confusione, ancora richiamando la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’UE, il Tribunale ha affermato che il livello di attenzione del pubblico interessato costituisce certamente un elemento da prendere in considerazione nella valutazione del rischio di confusione. Tuttavia, non si può ammettere l’esistenza di casi in cui, a causa del livello di attenzione del pubblico interessato, possa escludersi a priori qualsiasi rischio di confusione e, pertanto, qualsiasi possibilità di applicazione di tale disposizione.

La circostanza che il pubblico di cui trattasi sarà più attento all’identità del produttore o del fornitore del prodotto o del servizio che intende acquistare non significa, per contro, che esso esaminerà nei minimi dettagli il marchio che si troverà di fronte o che lo confronterà minuziosamente con un altro marchio. Invero, anche per un pubblico che possieda un livello di attenzione elevato, resta cionondimeno il fatto che le persone che ne fanno parte hanno raramente la possibilità di effettuare un confronto diretto dei vari marchi, ma devono fare affidamento sull’immagine imperfetta che ne hanno mantenuto nella memoria.

Tra i fattori rilevanti di cui si può tener conto nell’ambito della valutazione globale del rischio di confusione figura altresì il carattere distintivo del marchio anteriore. Tuttavia, anche supponendo che un marchio anteriore possieda un grado di carattere distintivo intrinseco inferiore alla media, tale carattere distintivo eventualmente debole non impedisce, di per sé, di constatare l’esistenza di un rischio di confusione.

In ogni caso, anche in presenza di un marchio anteriore a debole carattere distintivo, può esistere un rischio di confusione, in particolare, a causa di una somiglianza dei segni e dei prodotti e servizi considerati.

Sentenza completa