Sospensione dei termini in scadenza per procedimenti di competenza dell’UIBM

Alla luce delle misure precauzionali prese dal governo italiano per arrestare la diffusione del Covid-19, il decreto del MISE del 11.03.2020 ha sospeso i termini in scadenza per procedimenti di competenza dell’UIBM.

In particolare, ad eccezione dei termini relativi sia a procedimenti di opposizione avverso la registrazione di marchi italiani sia a procedimenti di ricorso, tutti i termini in procedimenti avanti l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi (e concernenti titoli italiani di proprietà industriale) in scadenza nel periodo compreso tra il 9 marzo e il 3 aprile 2020 sono sospesi.

Concluso il periodo di sospensione, i termini riprendono a decorrere per la parte residua.

Vedi l’annuncio sul sito dell’UIBM ed il decreto ministeriale.

Andrea Scilletta

Covid-19 – L’attività continua a pieno regime in IP Sextant

Vorremmo ricordare che IP Sextant si basa fortemente sullo smart-working sin dalla sua istituzione nel 2012.

Come sapete, gli uffici brevetti e marchi con i quali interagiamo per i nostri clienti (EPO, EUIPO, WIPO, e UIBM) consentono depositi e comunicazioni online.

Pertanto, la nostra attività lavorativa continua a pieno regime garantendo gli usuali standard qualitativi di assistenza e consulenza, indipendentemente dalle misure precauzionali adottate dal governo italiano per fermare la diffusione di Covid-19.

26 aprile 2018 – Tribunale Unificato dei Brevetti (Unified Patent Court – UPC): implicazioni della ratifica del Regno Unito per l’UPC

26 aprile 2018 - Tribunale Unificato dei Brevetti (Unified Patent Court - UPC): implicazioni della ratifica del Regno Unito per l’UPC

Il 26 aprile 2018 il Regno Unito ha depositato gli strumenti di ratifica dell’Accordo sul Tribunale Unificato dei Brevetti (UPCA).

Il Comitato Preparatorio dell’UPC ha fiduciosamente dichiarato che quest’anno è iniziato bene, sebbene resti ancora del lavoro da fare prima che possa iniziare la fase di applicazione provvisoria – non ultimo l’esito del ricorso contro l’UPCA pendente avanti la Corte Costituzionale Federale Tedesca che influenzerà la velocità della marcia verso la fase finale del progetto. Vedi comunicazione completa del Comitato.

In realtà, l’annuncio dell’Ufficio per la Proprietà Intellettuale del Regno Unito (UKIPO) e la dichiarazione rilasciata dal Ministro per la Proprietà Intellettuale, il parlamentare Sam Gyimah, chiariscono che tale ratifica innesca un’altra importante questione nei negoziati della Brexit, piuttosto che essere un evento decisivo in senso positivo per l’UPC. Segnatamente, l’UKIPO ha sottolineato che “la natura unica del tribunale proposto significa che le future relazioni del Regno Unito con il Tribunale Unificato saranno soggette a negoziati con i partner europei per l’uscita dall’UE” (v. annuncio completo). Il ministro per l’IP ha dichiarato che “ora siamo in una buona posizione per assicurarci di trasformare i cambiamenti – che saranno la parte centrale della nostra uscita – in opportunità. Una di queste opportunità è assicurare che continueremo a rafforzare e sviluppare il quadro internazionale dell’IP” (v. dichiarazione completa).

A questo proposito, persino la controversa opinione ottimista sulle conseguenze della Brexit per l’UPC, fornita nel settembre 2016 da Richard Gordon e Tom Pascoe (delle Brick Court Chambers), ha sottolineato che il Regno Unito sarebbe tenuto ad accettare la supremazia del diritto dell’UE nella sua interezza per quanto riguarda tutte le controversie in materia di brevetti che rientrano nella giurisdizione dell’UPC e che ciò potrebbe essere politicamente oneroso.

In effetti, l’art. 20 UPCA stabilisce che il Tribunale applichi il diritto dell’Unione nella sua integralità e ne rispetti il primato (cfr. anche gli articoli 21 e 24 UPCA).

Anche l’UPCA dovrà essere modificato per norme (solo apparentemente) formali. Ad esempio, l’art. 1 UPCA stabilisce che “l’UPC è un tribunale comune agli Stati membri contraenti ed è pertanto soggetto agli stessi obblighi in virtù del diritto dell’Unione di qualsiasi altro organo giurisdizionale degli Stati membri contraenti”, e l’art. 2 UPCA stabilisce che “si intende per ‘Stato membro’ uno Stato membro dell’Unione europea” e per “‘Stato membro contraente’: uno Stato membro parte del presente accordo”. Un altro emendamento degno di nota è richiesto all’art. 7 UPCA, che attualmente stabilisce che una sezione dell’UPC sarà a Londra.

Pertanto, appare essere necessaria una conferenza diplomatica per introdurre la possibilità per il Regno Unito, dopo aver lasciato l’UE, di essere parte dell’UPCA.

A condizione che la Corte di Giustizia dell’UE non pronunci alcuna decisione contro questa possibilità.

In conclusione, la ratifica da parte del Regno Unito rende la fase di applicazione provvisoria dell’UPC più vicina, ma non rende più certa la partecipazione del Regno Unito all’UPC.

A meno che le voci in aumento contro l’uscita (p. es. v. tra gli altri: Confederation of British Industry, 1, 2, 3; European Movement; Open Britain) non riusciranno a invertire la Brexit.

Andrea Scilletta

01 aprile 2018 – Domande Euro-PCT – Tassa di ricerca per la ricerca europea supplementare

01 aprile 2018 - Domande Euro-PCT - Tassa di ricerca per la ricerca europea supplementare

Secondo una decisione del Consiglio di amministrazione del 13 dicembre 2017, dal 1 aprile 2018, la tassa di ricerca per la ricerca europea supplementare per domande Euro-PCT in cui il rapporto di ricerca internazionale è stato redatto dall’Ufficio Brevetti e Marchi degli Stati Uniti, l’Ufficio Brevetti Giapponese, l’Ufficio Coreano della Proprietà Intellettuale, l’Ufficio Cinese della Proprietà Intellettuale, il Servizio Federale per la Proprietà Intellettuale (Federazione Russa) o l’Ufficio Brevetti Australiano non è più ridotta. La ricerca europea supplementare ammonta a € 1.300,00.
Vedi decisione completa

22 marzo 2018 – Uno slogan pubblicitario è distintivo solo se può essere immediatamente percepito come un’indicazione dell’origine commerciale dei beni o dei servizi in questione – Sentenza della Corte di giustizia dell’UE (Tribunale), causa T 235/17

22 marzo 2018 - Uno slogan pubblicitario è distintivo solo se può essere immediatamente percepito come un'indicazione dell'origine commerciale dei beni o dei servizi in questione - Sentenza della Corte di giustizia dell'UE (Tribunale), causa T 235/17

La ricorrente aveva presentato una domanda di registrazione di un marchio UE per il segno denominativo MOBILE LIVING MADE EASY per beni e servizi delle classi 5-7, 9, 11, 12, 19-22 e 37 dell’Accordo di Nizza. L’esaminatore dell’EUIPO ha respinto la domanda per il motivo che era priva di qualsiasi carattere distintivo. La ricorrente ha presentato un ricorso dinanzi all’EUIPO e la Commissione di Ricorso dell’EUIPO ha respinto il ricorso ritenendo che il segno fosse privo di qualsiasi carattere distintivo, in quanto il pubblico di riferimento percepirebbe l’espressione ‘mobile living made easy’ “vivere in modo agevole reso facile” come un messaggio promozionale elogiativo che serve ad evidenziare aspetti positivi dei beni e dei servizi interessati, segnatamente che rendono facile una vita itinerante, mobile, e non come una indicazione della loro origine commerciale.

Il Tribunale ha ritenuto che, al fine di determinare se i beni ed i servizi oggetto di una domanda di registrazione di un marchio UE siano interconnessi in modo sufficientemente diretto e specifico e possano essere inseriti in categorie o gruppi sufficientemente omogenei, si deve tener conto del fatto che l’obiettivo di tale compito è quello di consentire e facilitare la valutazione in concreto della questione se il marchio oggetto della domanda di registrazione sia o meno catturato da uno degli impedimenti assoluti alla registrazione. Richiamando la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’UE, il Tribunale ha altresì affermato che il collocamento dei beni e dei servizi in questione in uno o più gruppi o categorie deve essere effettuato in particolare sulla base delle caratteristiche che sono comuni tra loro e che sono pertinenti per l’analisi della possibilità che uno specifico impedimento alla registrazione si applichi o meno al marchio richiesto rispetto a quei beni e servizi.

Inoltre, si deve esaminare se, alla luce del significato dell’elemento denominativo del marchio richiesto, i beni e servizi oggetto del marchio in questione costituiscano un gruppo omogeneo che giustifica il ricorso a motivazioni generali.

Il Tribunale ha ancora richiamato la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’UE che afferma che, nonostante le loro differenze, tutti i beni ed i servizi in questione potrebbero avere una caratteristica comune, pertinente per l’analisi che la Commissione di Ricorso doveva effettuare, che potrebbe giustificare la loro collocazione all’interno di un unico gruppo omogeneo e l’uso da parte della Commissione di Ricorso di motivazioni generali in relazione ad essi.

Nella fattispecie, il Tribunale ha ritenuto che risulta evidente dalla decisione impugnata che la Commissione di Ricorso ha giudicato che i beni ed i servizi menzionati nella domanda di registrazione appartenessero ad una categoria omogenea alla luce di una caratteristica comune definita dal riferimento al significato del segno richiesto, cioè “che facilita la vita mobile”. A tale riguardo, “sebbene i beni delle varie classi abbiano caratteristiche specifiche molto diverse, essi formano una categoria omogenea concernente una caratteristica generale, ma essenziale o desiderabile, per coloro che si spostano, ad esempio, nei loro veicoli via terra o via acqua, segnatamente, in un modo o nell’altro, i beni facilitano la vita mobile (fornendo mezzi per gli scopi specifici di igiene personale, sicurezza, energia, cucina, conservazione di cibi e bevande, comfort termico o comfort in generale)”.

Il Tribunale ha riconosciuto che la Commissione di Ricorso ha quindi tenuto conto del fatto che la domanda di registrazione riguardava beni e servizi con caratteristiche diverse. Ciò non di meno, ha giudicato che tali beni e servizi avessero anche una caratteristica generale in comune di facilitare la vita mobile.

Inoltre, il Tribunale ha affermato che la Commissione di Ricorso ha evidenziato che i servizi della classe 37 menzionati nella domanda di registrazione riguardavano veicoli ricreativi, camper, roulotte, yacht e barche, veicoli passeggeri, furgoni e camion che potevano servire da alloggio permanente o temporaneo per scopi professionali o ricreativi e che i beni in questione potrebbero essere installati o utilizzati in quei veicoli. Di conseguenza, i beni che sono installati o utilizzati in tali veicoli devono essere considerati beni che facilitano la vita mobile in un modo o nell’altro.

Dunque, il Tribunale ha ritenuto che la Commissione di Ricorso aveva ragione nel constatare che i beni ed i servizi in questione formano una categoria omogenea, in quanto facilitano la vita mobile in un modo o nell’altro.

 

Richiamando la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’UE, il Tribunale ha affermato che la registrazione di un marchio che consiste di segni od indicazioni che sono utilizzati anche come slogan pubblicitari, indicazioni di qualità od incitamenti all’acquisto dei beni o servizi coperti da tale marchio non è escluso di per sé in virtù di tale uso. Tuttavia, un marchio che, come uno slogan pubblicitario, svolge funzioni diverse da quella di un marchio nel senso tradizionale del termine è distintivo solo se può essere immediatamente percepito come un’indicazione dell’origine commerciale dei beni o servizi in questione e conformemente consente al pubblico di riferimento di distinguere, senza alcuna possibilità di confusione, i beni o servizi del titolare del marchio da quelli che hanno una differente origine commerciale. Per un accertamento di carenza di carattere distintivo, è sufficiente che il contenuto semantico del marchio denominativo in questione indichi al consumatore una caratteristica del bene o servizio relativa al suo valore di mercato che, sebbene non specifico, provenga da informazioni promozionali o pubblicitarie che il pubblico di riferimento percepirà in quanto tale a prima vista, piuttosto che come una indicazione dell’origine commerciale del bene o servizio in questione.

Quindi, il Tribunale ha condiviso il parere della Commissione di Ricorso secondo cui il segno non conteneva alcuna variazione inusuale delle regole della sintassi e grammatica inglese e che slogan pubblicitari, come quello della fattispecie, erano spesso scritti in forma semplificata, in modo da renderli più concisi ed accattivanti. Il marchio richiesto, considerato nel suo insieme in relazione ai beni e ai servizi in questione, inviava un messaggio chiaro ed inequivocabile, che era immediatamente evidente e non richiedeva alcuno sforzo interpretativo da parte del pubblico di riferimento di lingua inglese. Dunque, il pubblico di riferimento percepirebbe l’espressione ‘mobile living made easy’ come un messaggio promozionale elogiativo, la cui funzione era comunicare un messaggio ispiratore di qualità, e non avrebbe percepito nel segno richiesto alcuna particolare indicazione di origine commerciale al di là delle informazioni promozionali trasmesse, che servivano solo a mettere in risalto aspetti positivi dei beni e servizi in questione, segnatamente che essi rendevano facile avere una vita itinerante, mobile. A tale riguardo, il pubblico di riferimento è il pubblico di lingua inglese, ed il significato del segno richiesto non si allontana dal linguaggio comune in modo tale che il pubblico di riferimento riconosca in esso più che la mera giustapposizione delle espressioni “vivere in movimento” e “reso facile”, ed il pubblico di riferimento comprenderà quel segno come significare “che facilita la vita mobile”. Tale significato è così ovvio che il pubblico non ha bisogno di pensare per comprenderlo immediatamente.

Dunque, il Tribunale ha condiviso il parere della Commissione di Ricorso secondo cui il segno richiesto non sarà pertanto percepito dal pubblico di riferimento come un’indicazione dell’origine dei beni e dei servizi in questione, ma come uno slogan pubblicitario. Ulteriormente, il segno richiesto non include alcun elemento inusuale capace di conferire carattere distintivo a quel segno.

Pertanto, il Tribunale ha confermato la decisione della Commissione di Ricorso ritenendo che tale segno non include alcun elemento che potrebbe, oltre al suo significato promozionale, consentire al pubblico di riferimento di memorizzarlo facilmente ed istantaneamente come un marchio per i beni e servizi in questione.

Sentenza completa (in inglese)

13 marzo 2018 – Marchio figurativo dell’UE comprendente una giustapposizione di due parole inglesi confrontato con un marchio denominativo dell’UE anteriore – Sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea (Tribunale), causa T 346/17

13 marzo 2018 – Marchio figurativo dell’UE comprendente una giustapposizione di due parole inglesi confrontato con un marchio denominativo dell’UE anteriore - Sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea (Tribunale), causa T 346/17

La sentenza riguarda un ricorso avverso una decisione della Commissione di Ricorso dell’EUIPO relativa a un procedimento di opposizione concernente una domanda di registrazione di un marchio dell’UE richiesta per un segno figurativo il cui elemento dominante è il risultato di una giustapposizione di due parole inglesi (“guidego”), in cui l’opposizione era fondata su un simile marchio denominativo dell’UE (“GUIDIGO”) anteriore per servizi ritenuti in parte identici ed in parte simili.

Innanzitutto, richiamando la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’UE, il Tribunale ha affermato che la valutazione della somiglianza tra due marchi significa più che prendere solo un componente di un marchio composto e confrontarla con un altro marchio. Al contrario, il confronto deve essere effettuato esaminando ognuno dei marchi in questione nel suo insieme, il che non significa che l’impressione generale prodotta nel pubblico pertinente da un marchio composto non possa, in determinate circostanze, essere dominata da uno più dei suoi componenti. Solo se tutte le altre componenti del marchio sono trascurabili, la valutazione della somiglianza può essere effettuata unicamente sulla base dell’elemento dominante. Ciò potrebbe verificarsi, in particolare, quando tale componente è in grado, da sola, di dominare l’immagine di tale marchio che i membri del pubblico pertinente conservano, con il risultato che tutti gli altri componenti sono trascurabili nell’impressione complessiva creata da tale marchio.

A tale proposito, il Tribunale ha riconosciuto che l’elemento dominante del segno richiesto è il risultato di una giustapposizione di due parole inglesi e che l’uso di colori diversi consente di percepirli.

Tuttavia, con riferimento al confronto concettuale dei segni, il Tribunale ha affermato che il fatto che i consumatori distinguano tra le due parole che formano l’elemento “guidego” non significa che saranno necessariamente in grado di comprenderle.

Per quanto riguarda il confronto visivo, ancora richiamando la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’UE, il Tribunale ha sottolineato che nulla impedisce una determinazione in merito all’eventuale presenza di somiglianza visiva tra un marchio denominativo ed un marchio figurativo, poiché i due tipi di marchio hanno una forma grafica in grado di creare un’impressione visiva.

Nella fattispecie, il Tribunale ha ritenuto che il segno comprendente il marchio anteriore e l’elemento dominante del marchio richiesto sono simili nella misura in cui coincidono in sei lettere su sette e differiscono solo nella vocale centrale. Analogamente, il grado di stilizzazione dell’elemento verbale e gli elementi aggiuntivi del marchio richiesto non neutralizzano le somiglianze tra i segni, in conseguenza dei quali sono simili per un grado medio.

Questo grado di somiglianza esiste indipendentemente dal fatto che l’elemento “guidego” sia percepito come due parole separate o come un singolo elemento.

Inoltre, il Tribunale ha ritenuto che esiste un elevato grado di somiglianza fonetica in quanto la pronuncia degli elementi «guidigo» e «guidego» è molto simile.

Sebbene il segno richiesto includesse parole aggiuntive scritte in caratteri molto più piccoli, ricordando la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’UE, il Tribunale ha affermato che essi probabilmente non saranno pronunciati, e che è anche necessario tener conto della naturale tendenza dei consumatori ad abbreviare i segni prolissi.

Inoltre, il Tribunale ha ritenuto che, sebbene il segno GUIDIGO sia un termine fantasioso, mentre l’elemento «guidego» è una giustapposizione di due parole inglesi, tuttavia tale circostanza non è sufficiente per consentire di considerare che la differenza di pronuncia dei due elementi distintivi sarebbe significativa, almeno per quanto riguarda la sezione non di lingua inglese del pubblico pertinente.

Infatti, anche se l’elemento “guidego” è pronunciato secondo le regole della pronuncia inglese, mentre il segno GUIDIGO è pronunciato secondo le regole di pronuncia della lingua madre del consumatore diverso dall’inglese, tale possibile differenza è rilevante solo rispetto alla parte del pubblico pertinente la cui lingua madre non è l’inglese, ma che parla inglese.

Pertanto, anche se tutti i membri del grande pubblico dell’Unione Europea riconoscessero l’elemento “guidego” come giustapposizione di due parole inglesi, il Tribunale ha ritenuto che non si può sostenere che la totalità di tale pubblico pronuncerà tale elemento secondo le regole della pronuncia inglese.

Inoltre, richiamando la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’UE, il Tribunale ha affermato che occorre ricordare che, per quanto riguarda il confronto fonetico dei segni, è necessario ignorare il loro significato, poiché tali considerazioni sono rilevanti per il confronto concettuale.

Sentenza completa

13 marzo 2018 – Marchio figurativo dell’UE basato su una lettera dell’alfabeto – Sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea (Tribunale), causa T 824/16

13 marzo 2018 – Marchio figurativo dell’UE basato su una lettera dell’alfabeto - Sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea (Tribunale), causa T 824/16

La sentenza riguarda un ricorso avverso una decisione della Commissione di Ricorso dell’EUIPO relativa ad un procedimento di opposizione concernente una registrazione internazionale designante l’Unione europea ottenuta per un segno figurativo basato sulla lettera “k”, in cui l’opposizione era fondata su quattro marchi figurativi nazionali anteriori (registrati presso l’Ufficio del Benelux per la proprietà intellettuale) basati sempre sulla stessa lettera “k” e per servizi identici.

Riguardo alla somiglianza fonetica, il Tribunale ha ritenuto che, nella misura in cui il pubblico di riferimento è in grado di distinguere la lettera «k» nel marchio richiesto e nel marchio nazionale anteriore, i due marchi possono essere pronunciati allo stesso modo. Pertanto, si deve affermare che, contrariamente a quanto rilevato dalla commissione di ricorso al riguardo, i marchi in conflitto sono identici sotto il profilo fonetico.

Riguardo alla somiglianza concettuale di due marchi costituiti dalla stessa e unica lettera, richiamando la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’UE, il Tribunale ha affermato che la rappresentazione grafica di una lettera, nella mente del pubblico di riferimento, può ricordare un’entità ben distinta, vale a dire un fonema particolare. In tal senso, una lettera rinvia a un concetto.

Ne consegue che può esistere un’identità concettuale tra segni quando questi ultimi rinviano alla stessa lettera dell’alfabeto.

In relazione alla valutazione globale del rischio di confusione, ancora richiamando la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’UE, il Tribunale ha affermato che il livello di attenzione del pubblico interessato costituisce certamente un elemento da prendere in considerazione nella valutazione del rischio di confusione. Tuttavia, non si può ammettere l’esistenza di casi in cui, a causa del livello di attenzione del pubblico interessato, possa escludersi a priori qualsiasi rischio di confusione e, pertanto, qualsiasi possibilità di applicazione di tale disposizione.

La circostanza che il pubblico di cui trattasi sarà più attento all’identità del produttore o del fornitore del prodotto o del servizio che intende acquistare non significa, per contro, che esso esaminerà nei minimi dettagli il marchio che si troverà di fronte o che lo confronterà minuziosamente con un altro marchio. Invero, anche per un pubblico che possieda un livello di attenzione elevato, resta cionondimeno il fatto che le persone che ne fanno parte hanno raramente la possibilità di effettuare un confronto diretto dei vari marchi, ma devono fare affidamento sull’immagine imperfetta che ne hanno mantenuto nella memoria.

Tra i fattori rilevanti di cui si può tener conto nell’ambito della valutazione globale del rischio di confusione figura altresì il carattere distintivo del marchio anteriore. Tuttavia, anche supponendo che un marchio anteriore possieda un grado di carattere distintivo intrinseco inferiore alla media, tale carattere distintivo eventualmente debole non impedisce, di per sé, di constatare l’esistenza di un rischio di confusione.

In ogni caso, anche in presenza di un marchio anteriore a debole carattere distintivo, può esistere un rischio di confusione, in particolare, a causa di una somiglianza dei segni e dei prodotti e servizi considerati.

Sentenza completa

13 marzo 2018 – Giurisprudenza EPO – caso T 0018/18 – Le decisioni dell’EPO devono essere motivate: non è sufficiente rinviare soltanto agli argomenti presentati da una delle parti nel procedimento

13 marzo 2018 – Giurisprudenza EPO – caso T 0018/18 - Le decisioni dell’EPO devono essere motivate: non è sufficiente rinviare soltanto agli argomenti presentati da una delle parti nel procedimento

Ai sensi della Rule 111(2) EPC, le decisioni dell’Ufficio Europeo dei Brevetti, che possono essere impugnate, devono essere motivate. La Commissione di Ricorso ha sottolineato che il fine di tale requisito è di consentire alla parte o alle parti e, nel caso il ricorso sia depositato, la Commissione di Ricorso di esaminare se una decisione adottata da un dipartimento di prima istanza sia giustificata o meno. È giurisprudenza consolidata delle Commissioni di Ricorso che, affinché una decisione sia motivata, deve contenere, in sequenza logica, quegli argomenti che giustificano la decisione. La conclusione tratta dai fatti e dalle prove deve essere chiara. Pertanto, tutti i fatti, le prove e gli argomenti che sono essenziali per la decisione devono essere discussi in dettaglio.

L’appello riguardava una decisione di opposizione in cui si affermava chela divisione di opposizione concorda con l’analisi dell’opponente. Le rivendicazioni 1 e 10 della richiesta principale introducono quindi materia che va oltre il contenuto della domanda come depositata. Quindi, la richiesta principale nel suo complesso non è ammissibile”.

La commissione di ricorso ha contestato tale affermazione, ritenendo che rimanesse del tutto oscuro la ragione per cui la divisione di opposizione ha raggiunto tali conclusioni e, in particolare, per quale motivo la divisione dell’opposizione non ha potuto seguire gli argomenti del titolare-ricorrente. Un ragionamento per la sua conclusione, nella forma di una sequenza logica di argomenti, che tenessero conto dei fatti, delle prove e degli argomenti essenziali per raggiungerla, in particolare trattando anche quelli della parte negativamente colpita da questa conclusione, nella fattispecie il titolare-ricorrente, non sono stati forniti.

Analogamente, la decisione di opposizione ha dichiarato la conclusione della divisione di opposizione con la frase: “La divisione di opposizione non ha potuto seguire le argomentazioni dell’opponente e ha concordato invece con gli argomenti presentati dal titolare”.

Anche in questo caso, la Commissione di Ricorso ha sottolineato che tale dichiarazione non costituiva un ragionamento adeguato.

Inoltre, la Commissione ha ritenuto che l’omissione di un adeguato ragionamento nella decisione ai sensi della Rule 111(2) EPC equivalesse ad una sostanziale violazione procedurale.

vedi Decisione completa

13 marzo 2018 – Giurisprudenza EPO – caso T 2328/13 – La selezione di quali fasi eseguire su diversi componenti di una rete mobile non è solo relativa ad una decisione di politica commerciale

13 marzo 2018 – Giurisprudenza EPO – caso T 2328/13 - La selezione di quali fasi eseguire su diversi componenti di una rete mobile non è solo relativa ad una decisione di politica commerciale

La decisione della commissione di ricorso riguarda un brevetto la cui rivendicazione 1 recita: metodo eseguito all’interno di una stazione di base per la registrazione di un terminale wireless con un home agent, comprendente:

  • ricevere … identificativi di identificazione associati ad un abbonato dal terminale wireless quando il terminale wireless richiede l’accesso ad una rete;
  • fornire gli indizi di identificazione ad un server di autenticazione;
  • ricevere, in corrispondenza di detta stazione di base, un profilo associato all’abbonato, in cui vi è una pluralità di home agent a cui possono essere instradate informazioni di registrazione dal terminale wireless, in cui la pluralità di home agent è associata con differenti operatori di rete virtuale mobile, in cui il profilo identifica una pluralità di home agent che sono assegnati ad un operatore di rete virtuale mobile associato con l’abbonato in una lista, ed in cui il profilo viene ricevuto dal server di autenticazione; e
  • instradare le informazioni di registrazione da detto terminale wireless ad un home agent identificato, in cui instradare le informazioni di registrazione comprende ricevere una richiesta di registrazione presso la stazione di base, risolvere presso la stazione di base quale home agent utilizzare durante la registrazione selezionando uno della pluralità identificata di home agent nel profilo, e trasmettere la richiesta di registrazione dalla stazione di base al home agent selezionato.

La divisione esaminatrice aveva commentato che “la questione se l’operatore di rete accetti di avere un’entità al di fuori della propria rete … è una decisione di politica commerciale in quanto non è imposta da limitazioni tecniche”.
Al contrario, la Commissione ha ritenuto che spostare la selezione del home agent alla stazione di base non è solo relativa ad una decisione di politica commerciale, poiché in una rete mobile ci saranno chiaramente conseguenze tecniche, ad esempio concernenti il trasferimento da una stazione di base ad un’altra che avrà un impatto sulle varie connessioni di tunneling richieste.

vedi Decisione completa

10 marzo 2018 – Presa in considerazione, da parte della Commissione di Ricorso dell’EUIPO, di nuove prove relative all’uso effettivo di un marchio anteriore – Sentenza del 28 febbraio 2018 della Corte di giustizia (Prima Sezione) dell’UE, procedimento C 418/16 P

10 marzo 2018 - Presa in considerazione, da parte della Commissione di Ricorso dell’EUIPO, di nuove prove relative all’uso effettivo di un marchio anteriore - Sentenza del 28 febbraio 2018 della Corte di giustizia (Prima Sezione) dell’UE, procedimento C 418/16 P

L’appello ha avuto origine dalla seguente controversia.

La ricorrente ha depositato due domande di marchio UE dinanzi all’EUIPO riguardanti un marchio denominativo ed un marchio figurativo, chiedendo la registrazione di prodotti e servizi nelle classi 9, 16, 35, 38 e 42 dell’Accordo di Nizza. Il marchio figurativo ed il marchio denominativo sono stati registrati.

Successivamente, l’interveniente in primo grado ha depositato due domande di dichiarazione di nullità del marchio denominativo e del marchio figurativo basate su un marchio nazionale anteriore registrato per servizi nelle classi 35 e 42 dell’Accordo di Nizza (il marchio nazionale anteriore era registrato anche per servizi nella classe 39).

Dinanzi alla Divisione di Annullamento dell’EUIPO, la ricorrente ha chiesto che l’interveniente in primo grado fornisse la prova dell’uso del marchio nazionale anteriore in questione. La Divisione di Annullamento ha respinto le domande di dichiarazione di nullità per il motivo che tale prova non era stata fornita.

Adita dei ricorsi proposti dall’interveniente in primo grado contro tali decisioni, la Commissione di Ricorso dell’EUIPO, dopo aver preso in considerazione una serie di elementi di prova ulteriori prodotti per la prima volta nell’ambito del ricorso, ha ritenuto che l’interveniente in primo grado avesse dimostrato l’uso effettivo del marchio nazionale anteriore per parte dei servizi nella classe 35 dell’Accordo di Nizza. Pertanto, essa ha annullato le decisioni della divisione di annullamento e, poiché quest’ultima non aveva esaminato il rischio di confusione, ha deciso di rinviare i procedimenti a tale Divisione ai fini dell’esame nel merito delle domande di dichiarazione di nullità.

 

La ricorrente ha proposto due ricorsi intesi all’annullamento delle decisioni controverse. Dopo aver riunito i due procedimenti, il Tribunale, con la sentenza impugnata, ha respinto i ricorsi nella loro integralità.

In particolare, la ricorrente ha sostenuto che, ritenendo che la Commissione di Ricorso poteva validamente tener conto degli elementi di prova dell’uso effettivo del marchio nazionale anteriore in questione prodotti per la prima volta dinanzi ad essa, il Tribunale ha violato le norme del regolamento 207/2009 (simili norme sono stabilite anche dal regolamento 2017/1001 sul marchio dell’UE, attualmente in vigore).

 

Nella sentenza del 28 febbraio 2018, la Corte di giustizia (Prima Sezione) dell’UE ha dapprima richiamato, coerentemente con la propria giurisprudenza, che la Corte non è vincolata né alle conclusioni dell’avvocato generale né alla motivazione in base alla quale egli vi perviene. Di conseguenza, il disaccordo di una parte con le conclusioni dell’avvocato generale, quali che siano le questioni da esso ivi esaminate, non può costituire, di per sé, un motivo che giustifichi la riapertura della fase orale. Pertanto, la Corte ha ritenuto che, avendo sentito l’avvocato generale, fosse in possesso di tutti gli elementi necessari per statuire e che tali elementi fossero stati discussi dinanzi ad essa.

 

Successivamente, la Corte ha sottolineato che, ai sensi dell’articolo 76, paragrafo 2, del regolamento 207/2009 (corrispondente all’articolo 95(2), paragrafo 2, del regolamento 2017/1001), l’EUIPO può non tener conto dei fatti che le parti non hanno invocato o delle prove che esse non hanno presentato per tempo.

Secondo la giurisprudenza costante della Corte, dalla formulazione di tale disposizione deriva che, come regola generale e salvo disposizione contraria, la deduzione di fatti e di prove ad opera delle parti rimane possibile dopo la scadenza dei termini ai quali si trova subordinata una tale deduzione e che non è affatto proibito all’EUIPO tener conto di fatti e prove così tardivamente dedotti o prodotti.

Precisando che l’EUIPO «può», in un caso del genere, decidere di non tenere conto di tali prove, la suddetta disposizione conferisce all’EUIPO un ampio potere discrezionale al fine di decidere, pur sempre motivando la propria decisione sul punto, se occorra o meno tenere conto delle medesime prove.

 

Per quanto riguarda la procedura di ricorso, la Corte ha richiamato di aver già dichiarato che, ai fini dell’esame nel merito del ricorso con cui è stata adita, la Commissione di Ricorso non soltanto invita le parti, ogniqualvolta sia necessario, a presentare, entro il termine da essa assegnato, le loro deduzioni sulle proprie notificazioni, ma può anche disporre mezzi istruttori, inclusa la deduzione di fatti o la produzione di prove. Tali disposizioni garantiscono a loro volta la possibilità di vedere arricchirsi il substrato fattuale durante le diverse fasi del procedimento svoltosi dinanzi all’EUIPO.

Pertanto, coerentemente con la propria giurisprudenza, la Corte ha richiamato che la Commissione di Ricorso, in occasione dell’esame di un ricorso diretto contro una decisione della Divisione di Opposizione, dispone del potere discrezionale di decidere se occorra o meno prendere in considerazione fatti e prove ulteriori o complementari che non sono stati presentati nei termini stabiliti o fissati dalla divisione di opposizione. Tuttavia, non se ne può dedurre, a contrario, che, in occasione dell’esame di un ricorso contro una decisione di una Divisione di Annullamento, la Commissione di Ricorso non disponga di un siffatto potere discrezionale.

Di conseguenza, la Corte ha ritenuto che il Tribunale non è incorso in un errore di diritto dichiarando che la Commissione di Ricorso può, in occasione dell’esame di un ricorso diretto contro la decisione di una Divisione di Annullamento, prendere in considerazione elementi di prova ulteriori relativi all’uso effettivo del marchio anteriore in questione che non siano stati prodotti entro i termini fissati da tale divisione.

In proposito, coerentemente con la propria giurisprudenza, la Corte ha altresì richiamato che la presa in considerazione da parte dell’EUIPO di fatti e di prove tardivamente prodotti, quando è chiamato a statuire nell’ambito di un procedimento di nullità, è, in particolare, giustificabile quando l’EUIPO ritenga che, da un lato, gli elementi prodotti tardivamente possano, a prima vista, rivestire un’effettiva rilevanza per l’esito della domanda di dichiarazione di nullità proposta dinanzi ad esso e che, dall’altro, la fase del procedimento in cui interviene tale produzione tardiva e le circostanze che l’accompagnano non si oppongano a tale presa in considerazione.

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